Problematiche psicologiche post-infortunio

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Gara 5 di finale playoff NBA, Kevin Durant stella dei Golden State Warriors viene messo in campo dopo che, la sua assenza per problemi fisici è stato argomento di discussione e polemica su tutti i giornali americani e non.

Kevin entra in campo all’inizio della partita e dopo soli 11 minuti esce dal campo zoppicando. Tendine d’Achille è il responso, un infortunio molto più grave del risentimento muscolare al polpaccio che lo aveva fermato dallo scendere in campo nelle prime partite della serie.

Ma vale veramente la pena infortunarsi seriamente per voler rientrare anzitempo in campo?

Quali conseguenze psicologiche possono esserci dopo un infortunio di questo genere?

Bisogna tenere in considerazione che si sta parlando di una finale NBA, c’è un titolo in palio e Kevin Durant era ed è ancora, nonostante l’infortunio, una delle pedine fondamentali per lo svolgimento di questa serie. Questo senso di responsabilità ha avuto un peso enorme dal punto di vista psicologico.

Il giocatore sapeva di non essere al 100%, ma ha voluto comunque giocare; per se stesso, per i compagni di squadra, per il suo staff, per i tifosi, per gli sponsor e per la NBA stessa.

Questa decisione, in accordo con lo staff medico, ha avuto un effetto boomerang inaspettato ma che, con un pochino di lungimiranza, qualcuno avrebbe potuto ipotizzare.

Vediamo quindi come può intervenire lo psicologo dello sport in situazioni di infortunio di un atleta.

Innanzitutto uno psicologo è la persona più indicata per sfogare il proprio dolore.

Verbalizzarlo ed esternarlo aiuta l’atleta ad alleggerirsi da un peso che, per la maggior parte delle volte, non può esprimere con lo staff tecnico.

In secondo luogo lo psicologo aiuta l’atleta a dare un senso all’infortunio; per molti atleti, specialmente di alto livello, lo stop forzato, è spesso visto come un lutto. Ci si trova da un momento all’altro a non poter più fare ciò che occupava gran parte del tempo della giornata: allenarsi.

Si ha un reset totale della routine giornaliera e ci si ritrova da un momento all’altro ad avere una quantità esagerata di tempo libero al quale, fino a prima dell’infortunio, non si era abituati. Questo destabilizza enormemente l’atleta che si trova ad affrontare l’infortunio in piena solitudine. Uno dei maggiori rischi infatti, è l’isolamento sociale data dalla perdita del ruolo all’interno della squadra, dalla modificazione del suo corpo in quanto “rotto” e dal rifiuto verso qualsiasi altra attività. Probabilmente Kevin Durant non rimarrà solo ad affrontare il suo infortunio, avrà un intero staff al suo servizio, ma non siamo tutti giocatori di NBA.

Nel momento in cui l’infortunio viene accettato e metabolizzato, si potrà iniziare a riabilitare corpo e mente andando così a prevenire l’insorgere della kinesiofobia, ovvero la “paura del farsi male “facendo attività sportiva.

L’ultimo step per un’atleta infortunato che si rivolge ad uno psicologo dello sport, è quello di intraprendere un percorso di mental training strutturato e specifico per l’atleta stesso e per la tipologia di sport che pratica; ma a pensarci bene, sarebbe uno step utile per qualsiasi tipo di atleta, non solamente per chi rompe il tendine d’Achille in gara 5 della finale NBA.

Dott.ssa Alessandra Visconti

Problematiche psicologiche post-infortunioultima modifica: 2019-06-12T20:48:30+02:00da trediciflow13
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