Intervista Tabù – Gimbo Tamberi

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Ciao, questa intervista è un’intervista tabù. Perché parlare degli argomenti che affronteremo sembra ancora essere motivo di vergogna e pochi hanno il coraggio di affrontare apertamente il discorso.

Sei coraggioso?

Pensi di essere la persona adatta a sfatare i tabù?

Allora ti dico di cosa si tratta… PSICOLOGIA!

Sei ancora li? 

Non sei scappato? Non sei svenuto???

Bene! Allora si può continuare l’intervista… 😉

Sei un grande campione, raccontaci un pò di te…

-Grande campione.. diciamo che il mio sogno è diventarlo… Ho incominciato a fare atletica nel 2009 lasciando il basket che è da sempre la mia grande passione. Ho iniziato a giocare a Basket a 4 anni ed ho smesso a 17. Il primo anno facevo entrambe le discipline, poi mi sono reso conto che era impossibile ed ho dovuto lasciare perché tutte le persone che mi stavano vicino mi dicevano che ero un pazzo a non “saltare”… ma ero testardo e volevo continuare a fare quello che mi piaceva. Alla fine ho deciso di provare a seguire la strada del “fare quello che mi riesce” più che “quello che mi piace”.

Hai lavorato tanto sul tuo fisico e sulla tua tecnica, hai mai lavorato sulla tua mente?

-ho lavorato molto dal punto di vista fisico ed ho lavorato molto dal punto di vista tecnico e anche dal punto di vista mentale, è dal 2014 che lavoro con un Mental Coach che è diventato parte integrante del mio team, insieme al mio allenatore, ai miei fisioterapisti e il mio ortopedico. Non posso più farne a meno perché mi ha aiutato tantissimo sia in momenti difficili della mia carriera, sia quando ero all’apice, nel 2016, quando ho vinto i Campionati del Mondo. Ricordo che subito prima di quell’evento avevo sentito una stretta necessita di parlare con lui, ricevere qualcosa da lui,…ciò che mi ha dato è stato scoprire dentro di me quello che già avevo e già sapevo. Mi ha aiutato tantissimo.

Concentrazione, reazione all’errore, gestione dello stress… sono tutti aspetti che possono essere migliorati con l’utilizzo di tecniche specifiche, ne hai mai utilizzata qualcuna? Riesci a farmi un esempio?

-Si sono tutti strumenti che utilizzo molto spesso ed ho imparato a farli miei, fanno parte della mia quotidianità. La visualizzazione ad esempio, è un punto cardine del mio allenamento mentale. Visualizzare il gesto e automatizzare il salto perfetto che per ovvi motivi in allenamento non si riesce a perfezionare tanto quanto lo si può fare mentalmente, con la visualizzazione. La si può fare sia interna che esterna e, a seconda di come la fai, crea degli effetti diversi. Cercando di ricreare la gara nel miglior modo possibile andando a ricercare anche gli odori, i colori o delle percezioni fisiche particolari. Per l’Olimpiade di Rio nel 2016 ero andato a scaricarmi su internet la piantina dello stadio dove avrei saltato, com’era la tribuna e la curva davanti alla pedana del salto in alto e mi immaginavo li a saltare. Ricreavo proprio tutta la gara con situazioni diverse. Magari una gara dove avevo tutto facile piuttosto che una gara impossibile, dove facevo un sacco di errori e dovevo riuscire a risolverli rimanendo sul pezzo senza buttarmi giù. Tutto questo per far si che io potessi aver già vissuto quella gara più e più volte, non solamente in quella occasione, e per sapere  già come reagire a seconda dell’andamento della gara.

Quanto pensi che conti l’aspetto mentale per ottenere una buona prestazione?

-In tutti gli sport, ma nel mio in particolare perché si deve superare un’asticella, la componente mentale è altissima. Quando si punta a qualcosa di più alto si fa riferimento proprio all’alzare l’asticella che in quel momento è un limite che non hai mai superato. Si parla di centimetri, saltare 2cm in più è qualcosa che va oltre al fisico. Noi saltatori dobbiamo fare la prestazione perfetta in una gara importante nell’anno; capisci che in quella gara specifica, lo stress, le motivazioni, la paura, le gioie, sono mille volte amplificate rispetto al poter diluire queste prestazioni in tante gare di un campionato come può essere nel calcio o nella pallacanestro. Noi dell’atletica dobbiamo rendere per forza bene in una gara sola, altrimenti la stagione è da consideri fallimentare, questo volente o nolente coinvolge l’aspetto mentale.

Dai più importanza al talento o all’impegno?

-Per lo sport professionistico è difficile slegare i concetti di talento e impegno. I migliori al mondo devono avere un pochino di entrambe le cose. Nell’atletica è molto difficile vedere qualcuno che arriva al successo senza metterci l’impegno. C’è chi si impegna un pò di più ma il talento che non si impegna, al successo non ci arriva. Personalmente do molta più importanza all’impegno. Se mi metto a confronto con i miei avversari mi sento uno che si dedica moltissimo e costantemente al lavoro piuttosto che essere uno graziato dal talento. Non nascondo di avere delle doti fisiche per fare quello che faccio, ma paragonato ai miei avversari, quelli che voglio battere, mi sento meno talentoso ma sento anche di metterci un pochino più di impegno.

Il tuo sport ti ha portato in giro per il mondo, come viene trattato l’aspetto mentale negli altri Paesi?

-Ho girato il mondo e trovo che l’Italia sia molto indietro da questo punto di vista. Si sta capendo in questi anni l’importanza dell’aspetto mentale nello sport. In America come nei paesi del nord Europa, allenare l’aspetto mentale è una cosa più che normale, tant’è che la maggior parte dei libri su questi argomenti sono scritti in inglese e difficilmente si trova letteratura in italiano. Però sta entrando a far parte anche della nostra cultura quindi mi aspetto che nei prossimi anni prenderà sempre più importanza.

Cosa ti senti di dire ai giovani atleti che sognano di diventare qualcuno nel loro sport?

-Per prima cosa mi senti di dirgli di ambire a diventare degli sportivi con dei principi etici ben saldi. Anche quando giocate a pari e dispari, giocate secondo le regole, perché vincere ed avere delle soddisfazioni, per quanto possano essere piccole, va fatto secondo le regole ed è questo che da soddisfazione. Giocate per crescere e migliorarvi perché sarà quello che vi darà più soddisfazione.

Consiglieresti loro di allenare la propria testa?

-Magari non da piccolissimi, ma quando lo sport diventa professionistico consiglio vivamente di allenare la parte mentale perché come il fisico, può fare una grande differenza soprattutto nelle manifestazioni importanti, quando conta la testa, quando nella pallacanestro, a 3 secondi dalla fine sei a -2 e devi tirare la palla. Prima di tirare puoi pensare “questa palla pesa come un mattone e se sbaglio abbiamo perso” come puoi pensare “se la metto entro nella storia”, cambia proprio la mentalità in positivo che ti spinge verso il successo piuttosto che abbatterti.

Grazie per aver condiviso con noi la tua esperienza e per aver cercato con noi di sfatare questo mito, dagli psicologi si può andare anche per migliorare se stessi e la propria prestazione!

Provare per credere!

Dott.ssa Alessandra Visconti Psicologa specializzata in Psicologia dello Sport.

Intervista Tabù – Gimbo Tamberiultima modifica: 2019-11-25T15:55:33+01:00da trediciflow13
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